Insediamento Biden, l’UE punta a rafforzare le relazioni con USA. Sarà così?

 

Cosa significa l'elezione di Biden per il commercio internazionaleNel giorno dell’insediamento di Joe Biden, Commissione e Parlamento UE invitano il nuovo inquilino della Casa Bianca a ricostruire le relazioni transatlantiche. Ma non è detto che il rapporto UE-USA tornerà del tutto quello dell’era pre-Trump. Ecco perché.

Cosa significa la vittoria di Biden per il mercato energetico globale, soprattutto per l’idrogeno

Parlamento e Commissione europea non nascondono la soddisfazione dell'insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. I quattro anni dell'amministrazione Trump, infatti, non sono stati facili per l’Unione europea, tra accettate al multilateralismo, guerre commerciali e il pressing anti-Pechino di Washington (per non parlare degli aspetti di politica estera legati alla NATO e alle questioni di sicurezza).

Nessuna sorpresa, quindi, che vista da Bruxelles l’elezione di Joe Biden abbia fatto tirare un sospiro di sollievo al vecchio continente, che vede nel nuovo inquilino dello Studio Ovale un alleato per rivitalizzare lo storico rapporto transatlantico, tornando ad affrontare assieme partite cruciali a livello internazionale.

L’ultima apertura in ordine di tempo è arrivata proprio il 20 gennaio, a poche ore di distanza dalla cerimonia che nominerà Biden come il 47° Presidente degli Stati Uniti d’America. “L'Europa ha ora un amico alla Casa Bianca” ha affermato infatti  la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Parole importanti, a cui sono seguite quelle del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel secondo cui quella di oggi “è un'occasione per ringiovanire le nostre relazioni transatlantiche che hanno sofferto molto negli ultimi quattro anni”.

I motivi dell'entusiasmo europeo certo non mancano. Oltre ad una storia comune e ai valori condivisa, infatti, Bruxelles e Washington condividono anche una serie di sfide epocali, inclusi i cambiamenti climatici, il Covid e le relazioni con la Cina

Ma gli analisti concordano che, anche laddove il rapporto si dovesse rinsaldare molto, le relazioni transatlantiche non saranno più quelle di prima. E’ verosimile aspettarsi, infatti, che alcuni trend della politica americana rimarranno in piedi, come l’attitudine a tutelare l'industria interna o l’atteggiamento muscolare nei confronti di Pechino.

L’UE non dovrebbe farsi quindi grandi illusioni, continuando a perseguire invece la strada dell'autonomia strategica. Lungi dall’essere alternativa al rafforzamento delle relazioni con Washington, infatti, un’Europa più forte ed indipendente rappresenta un elemento indispensabile per le future relazioni trasnaltantitche.

Dazi e protezionismo: anche in caso di de-escalation, il “Buy American” resterà

Sul tavolo languono numerosi temi che aspettano di essere risolti. Ai primi posti ci sono sicuramente i dazi contro i prodotti europei, inclusi quelli sull’alluminio e quelli derivanti dalla disputa Airbus-Boeing. In quest’ultimo caso parliamo di 7,5 miliardi di dollari a cui sono recentemente seguiti 4 miliardi di ritorsioni da parte dell’Unione europea. Una mossa quasi obbligata da parte di Bruxelles che spera, però, di arrivare ad una de-escalation e ad una loro completa rimozione.

Anche se si dovesse arrivare ad una soluzione su capitoli specifici, però, numerosi Think Tank ritengono che il motto “Buy American” continuerà ad essere presente nella politica commerciale americana, tanto più dopo la pandemia, con la necessità di rilanciare l’economia.

L’arrivo di Biden alla Casa Bianca, infine, non si tradurrà anche in una riapertura dei negoziati sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), cioè l'arco di libero scambio USA-UE. A dirlo è sempre Dombrovskis che conferma come “in questo momento, non stiamo puntando su una intesa globale à la TTIP con gli Stati Uniti”. La strada sarebbe piuttosto quella di individuare singole aree di cooperazione, come ad esempio le valutazioni di conformità.   

Bye bye TTIP. Gli accordi commerciali ripartono dai beni industriali

Rilanciare il multilateralismo, riformando il WTO

C’è poi il tema “multilateralismo” che l’UE spera di rilanciare anche tramite una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) da realizzare assieme agli USA.

In questi quattro anni, infatti, la presidenza Trump ha tenuto un atteggiamento molto distante dalle posizioni europee sul ruolo delle istituzioni multilaterali e su un ordine internazionale fondato su regole. Una posizione che ha portato, in ultimo, ad azzoppare il funzionamento stesso del WTO con la paralisi del suo organo di appello, bloccato dall’ostruzionismo americano sulla nomina di un giudice.

La Cina resta un problema

Last but non least, il tema “Cina” che in maniera più o meno evidente plasma tutte le questioni legate al commercio internazionale. Su questo fronte non è molto probabile attendersi grandi cambiamenti da parte di Washington. Il sentimento anti-cinese, infatti, è condiviso più o meno da tutto il Congresso e ampiamente diffuso nell'opinione pubblica americana. Difficile aspettarsi, quindi, che il nuovo inquilino della Casa Bianca possa assumere toni più concilianti con Pechino.

In tale contesto, anche la Cina sarà sicuramente al centro della nuova relazione USA-UE, con potenziali risvolti positivi per le due aree, ma anche alcune incognite di un certo peso. Bruxelles e Washington condividono senza dubbio alcuni problemi posti da Pechino sul tema commercio, a cominciare dai trasferimenti forzati di tecnologia a cui sono spesso sottoposte le imprese europee e statunitensi che vogliono operare sul mercato cinese. Da tempo Unione europea e Stati Uniti chiedono a Pechino di vietare concretamente tali pratiche, ma finora con scarso successo. 

Al di là dei singoli dossier, però, entrambe le sponde dell’Atlantico sono ben consapevoli del crescente peso geopolitico (e commerciale) cinese in buona parte del mondo, coronato dalla firma lo scorso 15 novembre del Partenariato economico globale regionale (RCEP) tra 15 paesi del Pacifico, inclusi Cina, Giappone, Corea del Sud e Australia. Un accordo che coinvolge il 30% della popolazione mondiale e ingloba un terzo della ricchezza prodotta sul pianeta. Grande assente gli Stati Uniti di Trump che, appena salito al potere, aveva fatto uscire Washington  dal Trattato transpacifico voluto da Obama, facendolo sostanzialmente morire di inedia. Ma si sa che in fisica, come in geopolitica, i vuoti si riempiono e quattro anni dopo il RCEP - questa volta a guida cinese - ha federato i paesi del Pacifico, dando vita all’accordo commerciale più grande del mondo.

Tuttavia la condivisione di timori e problemi comuni verso la Cina, secondo molti analisti potrebbe tradursi paradossalmente in una diminuzione dei margini di manovra e autonomia dell’UE nelle sue relazioni con la Cina. Davanti ad un miglioramento delle relazioni transatlantiche, infatti, per Bruxelles potrebbe diventare più difficile fare di testa propria su questo fronte e resistere al pressing americano di una scelta di campo.  

Per ora certo a Washington non è passata inosservata la firma dell'accordo UE-Cina sugli investimenti, che ha suscitato commenti non del tutto positivi anche da parte della nuova presidenza americana. Vedermo in futuro se e come si ricuciranno le posizioni atlantiche su questo fronte.

Le conseguenze per l’Italia

Il nuovo assetto delle relazioni UE-USA avrà conseguenze anche sul nostro Paese.

Nel breve termine, se Bruxelles e Washington arrivassero ad una tregua nella guerra dei dazi, l’Italia sarebbe tra i primi beneficiari. Sia i dazi conseguenti il caso Airbus-Boeing, sia quelli sull alluminio, infatti, hanno colpito duramente le nostre imprese. Per la sola filiera agroalimentare parliamo di circa mezzo miliardo di euro di danni.

L’Italia però potrebbe essere sottoposta anche ad un nuovo pressing americano per quanto riguarda la Cina. Vista da Washington, infatti, l’accelerata dei rapporti tra Roma e Pechino dopo l’accordo di marzo 2019 che ha fatto entrare l’Italia tra i paesi coinvolti nei progetti della Belt and Road Initiative (BRI) ha rappresentato un elemento di allarme. Un’analisi che potrebbe non cambiare con la nuova presidenza e che, anzi, potrebbe intensificarsi su questioni come le reti 5G e portare alla richiesta di uno screening maggiore sugli investimenti esteri provenienti dalla Cina.

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