Franco: il Recovery Plan non basta a superare il divario Nord-Sud

 

Sud. Progetti per ripartire - Photo credit: Ministero Sud e Coesione territorialePer il ministro dell'Economia, serve un piano ampio e duraturo che coinvolga le risorse ordinarie oltre ai fondi europei straordinari. E in linea con quanto dichiarato dal premier Draghi aprendo il convegno sul Mezzogiorno promosso dalla ministra Carfagna, il successo non dipende da quante risorse ci sono, ma da come si spendono.

Dal Recovery Plan alla Politica di Coesione, i fondi in arrivo per il Sud

In vista della stesura definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza, un'opportunità decisiva per la ripresa del Mezzogiorno, la ministra per il Sud e la Coesione territoriale ha infatti organizzato una due giorni di confronto online, in parallelo con una consultazione pubblica che, all'apertura dei lavori, contava già 200 contributi inviati e rimarrà aperta fino al 31 marzo.

Si tratta solo di un primo passo, ha spiegato il presidente del Consiglio Mario Draghi aprendo l'evento, per far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord sfruttando i 191,5 miliardi di Next Generation EU che l’Italia deve spendere da spendere entro il 2026 e i fondi europei e nazionali della Politica di Coesione, che mettono a disposizione altri 96 miliardi per il Sud nei prossimi anni.

Abbiamo imparato che tante risorse non portano necessariamente alla ripartenza del Mezzogiorno, ha sottolineato il premier, ricordando dagli inizi degli anni ’70 ad oggi il divario tra le aree del paese si è aggravato, accompagnato da un forte calo negli investimenti e da una spesa pubblica per il Sud dimezzata tra il 2008 e il 2018.

Due i nodi chiave da affrontare per cambiare rotta individuati da Draghi: l’utilizzo dei fondi europei e la capacità di completamento delle opere pubbliche. Cui il ministro dell'Economia Franco ha aggiunto il richiamo a collocare gli interventi del Recovery Plan in un disegno più ampio che, lungo un orizzonte temporale duraturo, faccia convergere risorse ordinarie e straordinarie.

I principali problemi del Sud da affrontare con i fondi del Recovery e della Coesione

Il Sud rimane il territorio arretrato più esteso e popoloso del continente europeo, ha detto il capo del servizio Struttura economica di Banca d'Italia Fabrizio Balassone, rievocando un intervento di Draghi a un convegno di Bankitalia di dieci anni fa.

Il Mezzogiorno cresce meno del Centro-Nord, offre minori opportunità di lavoro e con una produttività inferiore, soffre le conseguenze della maggiore diffusione della criminalità, della carenza di servizi pubblici di qualità e di infrastrutture e della combinazione di risorse finanziarie inadeguate e debolezze amministrative che minano la capacità di spesa e di realizzazione dei progetti.

Un quadro che richiede investimenti a più livelli, a partire dall'ammodernamento delle competenze e degli strumenti della PA, la definizione di una nuova governance basata su obiettivi qualitativi e quantitativi e su una verifica costante dei risultati ottenuti, la riqualificazione della scuola, la maggiore partecipazione di donne e giovani al mercato del lavoro.

Franco, collocare l'azione del PNRR in un piano più ampio e duraturo

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza non può che avere tra i propri obiettivi prioritari la riduzione dei divari territoriali tra le aree del paese, andando ad affrontare i ritardi nelle dotazioni infrastrutturali e i gap in termini di opportunità occupazionali, dinamica della produttività, qualità dei servizi pubblici, evidenziati da vari interventi nel corso dei lavori, ha dichiarato il ministro dell'Economia Daniele Franco. E, in linea con le dichiarazioni del premier Draghi, la disponibilità di risorse è un prerequisito ma l'effettivo aumento degli investimenti pubblici e privati dipenderà dalla capacità delle strutture coinvolte di gestire i progetti, tema fondamentale per il successo del PNRR in tutto il paese.

Secondo il ministro, però, la dimensione del divario Nord-Sud e la sua durata indicano che si tratta di un ritardo che non può essere riassorbito con un piano di sei anni, per quanto ben congegnato. Anche perchè il Recovery, per la sua natura, si concentra sugli investimenti e non può finanziare le riforme e le spese di parte corrente necessarie al rilancio del Mezzogiorno. Serve quindi una strategia complessiva di politica economica del paese, a partire dalla legislazione e dalle risorse ordinarie.

Carfagna, in aggiunta al Recovery ci sono 100 miliardi per il Sud

La riduzione dei divari territoriali sarà in ogni caso un tema trasversale a tutto il PNRR, ha spiegato Carfagna, che con il ministro Franco ha deciso di rendere evidente il peso del Sud all'interno del Piano facendo emergere in ogni missione gli interventi e gli stanziamenti destinati al Mezzogiorno, oltre a rivedere la ripartizione del budget complessivo della componente 3 della Missione 5 del Recovery Plan, dedicata appunto alla coesione territoriale.

Degli oltre 4 miliardi di euro disponibili, 900 milioni andranno al rafforzamento delle aree interne del Paese, 600 milioni all'infrastrutturazione delle Zone economiche speciali (ZES), 1,78 miliardi agli investimenti nei territori colpiti dai terremoti, 350 milioni agli ecosistemi dell’innovazione, 300 milioni alla valorizzazione sociale ed economica dei beni confiscati alle mafie e 250 milioni ad azioni dirette a contrastare la povertà educativa.

Oltre alle risorse del Recovery Plan il Sud potrà contare su circa 100 miliardi di euro tra Fondo sviluppo e coesione e fondi strutturali europei, ha ricordato la ministra, ribadendo l'intenzione di notificare a Bruxelles l'Accordo di partenariato 2021-27 entro l'estate, con largo anticipo rispetto ai cicli di programmazione del passato per dare alle amministrazioni più tempo per programmare e investire le risorse.

Fondi europei 2021-27: il nuovo Accordo di partenariato

Metodo PNRR anche per fondi strutturali e FSC

Se il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta un'occasione per affrontare questi problemi sistemici che frenano lo sviluppo del Mezzogiorno, i fondi strutturali europei, ha ricordato il direttore generale dell'Agenzia per la Coesione, Massimo Sabatini, sono da trent'anni un pilastro delle politiche europee e nazionali per la riduzione dei divari territoriali e la principale fonte di investimenti pubblici, anche sostituendo in molti casi la spesa ordinaria.

A fronte di importanti risultati conseguiti in alcuni ambiti – ad esempio in termini di contrasto all'abbandono scolastico, diffusione delle rinnovabili, capacità di esportare, percentuale di giovani laureati - ci sono però anche indicatori peggiorati in questi anni. Basti pensare al numero di occupati o di passeggeri del trasporto pubblico locale, ha ricordato Sabatini.

Per questo con 18,3 miliardi di fondi UE 2014-2020, di cui una quota significativa relativa al Sud, ancora da certificare, e circa 100 miliardi della nuova programmazione tra fondi europei e Fondo sviluppo e coesione 2021-27 servono cambiamenti sostanziali.

La strada è quella già indicata dalla ministra Carfagna in audizione alla Camera: il metodo PNRR deve essere esteso a tutta la Politica di Coesione. Per tutti i fondi, quindi, devono essere definitivi obiettivi ex ante a livello quantitativo e qualitativo, vanno selezionati gli interventi sulla base della realizzabilità e la concessione delle risorse deve essere subordinata al raggiungimento degli obiettivi intermedi.

Inoltre, secondo Sabatini, bisogna evolvere verso un monitoraggio di processo, rafforzare l'analisi predittiva, coinvolgere il partenariato per individuare per tempo i colli di bottiglia, far evolvere l'azione di affiancamento delle PA in rigenerazione delle amministrazioni, sfruttare le nuove assunzioni previste dalla legge di Bilancio 2021 per potenziare i settori essenziali alla buona gestione delle risorse, intervenendo in particolare sulla progettazione, la gestione finanziaria e la digitalizzazione delle procedure.

Da parte sua, l'Agenzia può rilanciare strumenti rivelatisi efficaci per supportare le amministrazioni nei territori, come la task force per l'edilizia scolastica, e rafforzare l'azione di attuazione diretta, come nel caso dei PON Governance e PON Metro.

Per approfondire: Politica di Coesione: come sarà il PON Metro 2021-2027

Come spendere 22 miliardi di fondi europei all'anno

Proprio da questi esempi è partito Nicola De Michelis, della direzione generale Politica regionale della Commissione europea, per fare il punto sulla relazione complessa tra l'Italia e la Politica di Coesione UE.

L'Italia è l'unico paese europeo ad avere ideato un Programma operativo interamente dedicato ad affrontare il problema del rafforzamento amministrativo o ad aver tentato di rispondere ai bisogni dei territori partendo dal basso, tramite il PON Città metropolitane e la Strategia nazionale per le aree interne. Poi c'è l'altra Italia, quella dell'attuazione, sempre un po' in ritardo, nel Mezzogiorno ma non solo, che nei prossimi anni dovrà viaggiare a ritmi di spesa da capogiro, 22 miliardi in media all'anno, contro i 6 miliardi rendicontati nel 2020.

Una sfida che, secondo De Michelis, richiede anzitutto un forte raccordo tra politiche straordinarie e ordinarie, un investimento nella capacità amministrativa che non si traduca solo nell'iniezione di nuovo personale nelle PA titolari dei programmi, ma nella selezione di profili di qualità e soprattutto coerenti con le politiche europee. Personale, insomma, che sappia ragionare di temi come digitalizzazione e cambiamento climatico.

Serve poi un lavoro sui processi, che affronti i problemi e i ritardi sui tempi di attraversamento, sulle verifiche in itinere.

Infine, l'inevitabile richiamo ai tempi: bisogna preparare oggi - anzi ieri - tanto le strategie quanto il parco progetti e assicurarsi che siano maturi e cantierabili. La nuova programmazione dei fondi europei è iniziata tre mesi fa, ha ricordato De Michelis. Se ora ci limitiamo alla riflessione strategica e pensiamo ai progetti solo nel 2022, i ritardi si confermeranno e, poichè i tempi di chiusura non cambiano, ci sarà poco margine per attuare i progetti necessari al Paese.

Cosa insegna l'esperienza sulla gestione dei fondi europei per la Coesione

Nella seconda giornata di lavoro tre ex ministri della Coesione territoriale hanno messo a disposizione le lezioni apprese negli anni scorsi per contribuire a migliorare l'azione di governo per il rilancio del Mezzogiorno. Quattro i fattori individuati da Fabrizio Barca, oltre alla nota tendenza a sostituire con gli interventi straordinari le risorse ordinarie.

Nel mirino anzitutto la resistenza della classe dirigente nazionale alla spinta verso il cambiamento rappresentata dalla nuova classe dirigente locale, spinta che negli anni scorsi ha prodotto importanti risultati ma che, secondo l'ex ministro, si è spenta non trovando sponda da parte delle autorità centrali. E ancora, la discontinuità nel rinnovamento delle pubbliche amministrazioni, in particolare dei piccoli comuni, e la necessità - rilanciata dal nuovo ministro della PA Renato Brunetta - di cambiare il modo in cui si assume nella PA, guardando anzitutto alle competenze organizzative delle persone.

Terzo punto critico, la grammatica dei risultati e il loro monitoraggio in itinere, l'aver abbandonato il lavoro sugli obiettivi di servizio, che pure aveva dato risultati significativi. Infine, l'incapacità di trascinare, con la politica straordinaria, il bilancio ordinario. Un problema che, secondo il predecessore della ministra Carfagna, Giuseppe Provenzano, si pone anche in senso inverso, cioè come incapacità delle politiche ordinarie di accompagnare gli strumenti aggiuntivi. Servono riforme e piani che, attrezzando la macchina pubblica, creino il contesto per intercettare gli investimenti, ha detto.

A cominciare dalla rigenerazione amministrativa, per cui ad esempio alla decisione di Carfagna e Brunetta di dare attuazione immediata alla norma della legge di Bilancio 2021 sulle 2.800 assunzioni nelle PA del Sud coinvolte nella gestione dei fondi europei devono seguire sforzi analoghi rispetto al reclutamento ordinario.

Sul tema della governance e della collaborazione istituzionale, invece, l'ex ministro Claudio De Vincenti ha ricordato l'esperienza delle task force costituite tra governo, Agenzia della coesione e regioni in ritardo nella spesa dei fondi europei alla fine del 2013, che in due anni permisero di recuperare il gap degli anni precedenti. Servono poi meccanismi per collegare l'assegnazione dei fondi al raggiungimento di risultati effettivi, un percorso fatto di obiettivi di servizio e risorse con vincolo di destinazione, per cui si ottengono i pagamenti via via che si realizzano i servizi di cui i cittadini hanno bisogno.

Quanto al ricorso a corsie preferenziali per gli interventi del Recovery, secondo De Vincenti, non servono deroghe procedurali, ma la definizione di nuove procedure che potranno divenire ordinarie e informare l'azione della pubblica amministrazione negli anni a venire.

Per approfondire: Come migliorare la spesa dei fondi europei per l'Italia

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